Il committente ideale dell’architettura moderna, l’acme di un secolo di ricerca, è un corpo confinato in una sedia a ruote, meccanizzato nei movimenti
B.Colomina descrive così, nell’era della quinta dimensione, il nuovo utente della casa contemporanea (Domus 811/99) che si presenta come interamente collegato alla realtà esterna attraverso artifici che ne garantiscano la libertà di movimento, sia organizzandogli la concreta fruibilità dello spazio sia indirizzandolo verso le possibilità virtuali del cyberspazio nel mondo senza limiti della rete informatizzata. Si individua, in una sorta di virtualità interiore, il soggetto attivo che stabilisce le nuove unità di misura della casa. Non a caso L.Prestinenza Puglisi parla di infospazio come nuova dimensione della ricerca architettonica, in cui l’ausilio di strumentazioni elettroniche che producono finestre virtuali contribuisce alla definizione di uno spazio a più dimensioni non necessariamente confinate alle tre fisiche.
Dal punto di vista tradizionale (e tipologico) la trasformazione della concezione dello spazio domestico è drastica, quasi radicale. Il passaggio immediato che effettuiamo è quello pluridimensionale in cui dalle nozioni ambientali note, caratterizzate da elementi psico-fisici verificati ed acquisiti nelle esperienze del passato, passiamo alla scoperta ed elaborazione di nuove frontiere sempre meno vincolanti e più disponibili alle diverse esigenze, anche quelle drammaticamente più condizionanti.
Stephen Hawking, un cyborg, parla. Cosa vuol dire parla? Gli arti colpiti e il generatore allofono Voltraz, incorporato nella sua sedia a rotelle, uniscono i loro sforzi per produrre suoni che ci arrivano attraverso la mediazione elettronica. La carne immobilizzata resta muta, le dita spostano impercettibilmente un joystick per scegliere le parole da un menù sul video, poi il software e il silicio prelevano i suoni memorizzati, li riuniscono in paragrafi e li emettono dagli altoparlanti. Non il corpo con la sua struttura tradizionale, bensì una nuova specie di costruzione elettrosomatica diventa luogo di azione e di progetto. Il brano tratto dal libro La città dei bits, di W.J.Mitchell, rappresenta la testimonianza di un percorso in essere e la sua conseguente proiezione verso la “nuova dimensione”, in cui l’autore preconizza una generazione futura (neanche tanto lontana) di cyborg come i probabili utenti della residenza “prossima”. Siamo tutti cyborg, ora. Gli architetti e gli urbanisti dell’era digitale devono cominciare a riformulare la teoria del corpo nello spazio. Nel cyberspazio si naviga da luogo a luogo, seguendo collegamenti logici invece che percorsi fisici…si clicca più che si può, nel cyberspazio: questa è la nuova promenade architettonica.
Del resto le abitudini quotidiane, i movimenti fisici, i sistemi di relazione di ognuno di noi sono sempre più connessi e mediati da dispositivi elettronici personali tali da trasformare, attraverso un evidente potenziamento, le nostre caratteristiche prestazionali fisiologiche. Dai sistemi di comunicazione (cellulari, videotelefoni, connessioni skype) ai sistemi di immagazzinamento e gestione dati (computer, dvd, cd, ipod, agende Pda, penne elettroniche, modem, calcolatori) fino alle integrazioni/sostituzioni di accessori corporei funzionali al miglioramento del benessere fisico (occhiali intelligenti, scarpe elettroniche, pacemaker e sistemi di monitoraggio medico personalizzati, organi artificiali etc.) è possibile prevedere uno sviluppo della “specie umana” secondo una direzione ipertecnologica in cui le dinamiche esigenziali vengono esplorate secondo nuove modalità. Allora non è improbabile la visione di W.J.Mitchell che immaginando la nascita (e lo sviluppo) di un grande sistema virtuale integrato, in cui tutti i vari dispositivi tecnologici sono collegati (ormai senza fili) attraverso la presenza di una rete digitale mondiale, consentirebbe ad ogni persona di interagire su tutti i livelli a distanze fisiche impensabili ed in momenti paralleli…diventerete un cyborg modulare, riconfigurabile, infinitamente ampliabile. Si stanno ponendo le basi per una nuova condizione dell’abitare, in cui l’interazione uomo-ambiente è quasi più sensibile ai flussi informatici piuttosto che alle misure fisiche. Prosegue infatti W.J.Mitchell una volta aperto il guscio della vostra pelle, comincerete a proiettarvi anche nell’architettura. In altre parole, alcuni dei vostri organi elettronici potranno essere incorporati nell’ambiente che vi circonda…In questo modo, l’abitare assumerà un nuovo significato. Un significato che non ha tanto a che fare con il parcheggiare le vostre ossa in uno spazio definito architettonicamente, quanto piuttosto con il collegare il vostro sistema nervoso a organi elettronici che si trovano in prossimità. La vostra stanza e la vostra casa diventeranno parte di voi e voi diventerete parte di esse.
La residenza di B.Gates a Seattle conferma la nascita del nuovo paradigma: la smaterializzazione dell’architettura, la materializzazione del cyberspazio. La pareti interne non riflettono mai l’indicazione di un materiale secondo una percezione statica, ma sono dei giganteschi schermi video piatti che interagiscono con l’utente per mezzo di particolari sensori. Possono raccontare qualsiasi panorama virtuale o desiderio percettivo che la finestra elettronica possa consentire. Si avviano modalità di interscambio fra utente ed involucro architettonico che superano il normale rapporto tra interno ed esterno. Il soggetto dell’architettura non è più lo spazio ma la superficie che, a sua volta, produce percezioni tridimensionali e quindi lo spazio da reale diviene proiezione mentale. Infatti, parafrasando ancora L.Prestinenza Puglisi, potremmo dire che il virtuale non è altro che la formalizzazione del pensiero, la trasformazione del pensiero in spazio architettonico.
Probabilmente le esperienze passate di T.Ito e K.Oosterhuis anticipano proprio questi temi, tracciando un’indicazione significativa sulla ricerca, la comprensione e lo sviluppo del cyberspazio. Quando nel 1991, infatti, T.Ito allestisce nella sala del Victoria ed Albert Museum di Londra le “visioni giapponesi” affida alla multimedialità ed ai sistemi proiettivi tutte le condizioni di definizione del nuovo modello spaziale e della possibile psicoesperienza conducibile nel suo interno. Gli utenti sono letteralmente coinvolti nelle immagini nei suoni e nelle atmosfere della metropoli nipponica che, raccontata attraverso un sistema di proiezioni continuo su pareti e pavimenti mediali, è “presente” anche tramite l’interazione con cinque terminali direttamente connessi con Tokyo city in modo da poter comunicare in tempo reale. Dieci anni dopo anche nelle proposte di K.Oosterhuis il principio compositivo è tutto orientato secondo la percezione della quinta dimensione. In Trans – Ports 2001 la configurazione volumetrica della struttura può variare in base alle dinamiche dei flussi informativi provenienti dal mondo Web. C.Paganelli (l’Arca 148/2000) descrive come la struttura sia in grado di produrre informazione sulle attività legate al mondo del mare attraverso complesse connessioni multimediali con siti Web. Ci si trova immersi in un ambiente di pura informazione, trasmessa grazie alla duttilità dell’hypersurface, superfici tecnologiche assimilabili al concetto di schermo…lo stesso assetto volumetrico è condizionato da ritmi e tensioni tradotti dalla dinamica delle informazioni e dall’intensità del flusso del suo intorno sonoro e visuale…
Allora è possibile sostenere che, in questo contesto, non c’è più confine fra architettura (spazio) e design (oggetto). La staticità degli oggetti e la loro matericità (la netta separazione delle “cose” rispetto ai ruoli ed alle loro definizioni fisiche tradizionali) rappresentano un limite tecnico da superare. La luce e le videoproiezioni sono i materiali del futuro (basti pensare agli affascinanti allestimenti, vero campo di sperimentazione attuale, dei francesi Electronic Shadow o ai lavori di C.Moeller). La nuova frontiera è la proiezione della mente attraverso il sapiente utilizzo del cyberspazio che, salutando tutti gli appassionati delle varie saghe fantascientifiche, anticipa la futuribile sala ologrammi come nuova espressione della casa. J.P.Barlow nella sua Dichiarazione d’indipendenza del Cyberspazio ci aiuta ad iniziare il nuovo cammino verso questo non-luogo dove l’autore, evidenziando le caratteristiche del mondo virtuale, sostiene le mutate condizioni:…i vostri concetti di proprietà, espressione, identità, movimento e contesto non si applicano a noi. Essi si basano sulla materia. Qui non c’è materia. Il cyberspazio è fatto di transazioni, di relazioni, e di pensiero puro disposti come un’onda permanente nella ragnatela delle nostre comunicazioni. Il nostro è un mondo che si trova contemporaneamente dappertutto e da nessuna parte, ma non dove vivono i nostri corpi.
Noi creeremo nel Cyberspazio una civiltà della Mente. Possa essa essere più umana e giusta di quel mondo che i vostri governi hanno costruito finora.
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