Un progetto globale per l’architettura
Con questa frase una nota casa produttrice di elementi per l’architettura d’interni si pone nel mondo della comunicazione. Il tema diventa:…definire gli interni attraverso un progetto globale, in un rapporto sempre più stretto tra sistemi componibili ed architettura… L’integrazione fra la cultura del progetto e quella della produzione determina così una nuova condizione, attenta alle esigenze estetiche e tecniche sempre rinnovabili, in modo da sviluppare una sensibilità raffinata nelle soluzioni possibili attraverso la consapevolezza delle mutazioni strutturali dell’architettura, proprio alla luce delle nuove condizioni poste dalla globalizzazione e dalle biotecnologie.
Oggi è possibile sostenere, infatti, che le tecnologie avanzate sono divenute lo strumento di accesso all’ampliamento delle opportunità fisico-fenomenologiche del mondo architettonico per quanto riguarda sia gli edifici che si rapportano alla scala urbana (dalle strutture intelligenti di Mario Cucinella ai sistemi di relazione organica indagati da tempo da John M. Johansen) che per il mondo degli interni, attraverso tutte quelle sofisticate condizioni connesse al concetto di wellness integrato nello spazio d’uso quotidiano..
Quando Felix Guattari in Architettura della sparizione, architettura totale evidenzia l’attualità del concetto di globalizzazione che attraversa anche il panorama architettonico in tutte le sue scale di indagine, viene descritto come l’architettura è chiamata ad un costante confronto con il dispiegarsi delle nuove tecnologie proprio con il divenire del territorio e le performance del cyberspazio (vocabolo ormai acquisito nel nostro index). Con l’avvento delle nuove tecnologie il territorio materiale così come poteva essere inteso fino a qualche decennio fa è scomparso. La realtà sociale, economica e, di conseguenza, spaziale è rappresentata ormai da un territorio che Guattari definisce appunto “mutante”…che si profila come un tessuto stratificato, neutro, in relazione alla molteplicità definita dalle sue eterotopie. Uno spazio in continua metamorfosi che si struttura nelle trasversalità delle opportunità tecniche come risposta alle esigenze della committenza…Si affrontano così tutte le esigenze della nuova utenza, cioè quella della contemporaneità, attraverso la maturazione di un pensiero di tipo globale che proviene da una lenta sedimentazione delle teorie e delle esperienze condotte proprio sulla percezione dello spazio fisico.
Del resto i primi segni che introducevano all’attuale global mind li possiamo rintracciare nelle forme d’arte più sensibili (geniali manifestazioni artistiche generalmente anticipatrici dei fenomeni socio-culturali) che sin dalle espressioni più convinte degli anni venti, pensiamo per esempio al rapporto di forte reciprocità fra arte ed architettura nell’esperienza neoplastica di Piet Mondrian e Theo van Doesburg in cui l’interazione interdisciplinare conduce a situazioni spaziali come il cafè-restaurant a l’Aia nel 1928 o la composizione “quadrimensionale” della Maison Particuliere, ad oggi raccolgono ed indirizzano inesorabilmente il rumore di fondo (vedi entropia) del nostro divenire.
La visione globale allora può innescare nuove intuizioni, non necessariamente di tipo speculativo come avviene drammaticamente in altri campi, in cui non ci sono più confini. La storica Vilma Torselli chiarisce proprio l’attuale rapporto globale fra arte ed architettura in cui …dopo le incertezze di una lunga parentesi concettuale che ha finito per condurla nel vicolo cieco di incomprensibili sofismi intellettualistici, pare oggi che l’arte aspiri a riappropriarsi della sua “funzione”, ad essere al servizio dell’uomo, ad essere utile e comprensibile, a guidarlo in un processo di estetizzazione del mondo e della vita, mentre l’architettura sembra aver superato ogni rivendicazione di specificità culturale e disciplinare per sognare, come l’arte visiva, una libertà espressiva che le permetta di evadere dai dogmi del funzionalismo…Allora artisti come Vito Acconci, Bruce Nauman, David Tremlett, Claes Oldenburg o Mauro Stacciali ripropongono il discorso di un’arte “non solo per lo spazio, ma nello spazio della vita umana”, e quindi in chiave architettonica, parallelamente architetti come Frank Gehry o Zaha Hadid sconfinano disinvoltamente, senza porsi pretestuosi problemi di ambiti predefiniti e distinti e di rigide divisioni disciplinari, tra scultura e architettura, contaminando, fondendo, compenetrando i linguaggi nel nome di una comune sensibilità plastica che produce forme (non importa se statue o architetture) nello spazio dell’uomo.
Trasversalità concettuale, quindi, anche secondo quanto raccontato da Francesco Moschini nell’occasione della mostra “Duetto” tenuta agli inizi degli anni ottanta a Roma in cui un’artista, Enzo Cucchi, ed un architetto, Dario Passi, vengono coinvolti secondo l’unico denominatore comune possibile: l’approccio globale alle questioni dello spazio e della materia. Non c’è più distinzione fra la posizione dell’architetto o dell’artista individuati nelle loro specificità. Si osservano analogie di tipo metodologico, in cui le due ricerche hanno, come punto fondamentale in comune, il rifiuto sistematico di una qualsiasi collocazione spaziale e temporale del lavoro. Moschini sostiene come risulti… difficile legare le elaborazioni di Cucchi e Passi a omogenei modelli di comportamento, sino a rintracciare una possibile area di riferimento che possa in qualche modo far pensare ad un gruppo di appartenenza…è lo squilibrio, l’incommensurabilità contrapposta ad una puntigliosa definizione temporale, la sopraffazione degli elementi d’ingombro rispetto all’estremamente ridotto della narrazione, il ricorso alla trasversalità come motivo ossessivo, che non fa che rimandare ad altro, come in una catena ad anelli continui, dando solo indicazione di traiettoria, ma mai punti fermi di riferimento o di arrivo, quel muoversi a rizoma, secondo la definizione di Deleuze, più che indicare una inafferrabilità di un simile procedimento artistico e di un simile atteggiamento progettuale
Assistiamo, in quel periodo, alla consacrazione del fenomeno dell’architettura disegnata in cui gli architetti, nella estremizzazione del pensiero globale, formulano la condizione dell’antiarchitetto (una sorta di parallelo con l’antimateria) come il soggetto che si esprime in termini di architettura senza avere come obiettivo finale la sua costruzione. Siamo al massimo grado di distorsione del fenomeno global in ambito architettonico, raggiungendo l’apice opposto alle ipertecnologie con le quali si è introdotto l’argomento.
Certa è, invece, la prosecuzione del progetto globale come pensiero attivo nell’architettura nelle esperienze che rappresentano una testimonianza del processo in atto, a partire dalle contaminazioni artistiche (a metà del secolo scorso) fra Giuseppe Capogrossi e Vincenzo Monaco fino alla “simbiosi” di Pierluigi Spadolini con Mario Ceroli che, nella Chiesa di Tor Bella Monaca a Roma, modellano tutta la realtà fisica attraverso la stratigrafia degli elementi come strategia di progetto.
Dagli edifici intelligenti e sostenibili alle contaminazioni artistiche per spazi futuribili: l’architettura prossima sarà global o no global ?
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